La Paz- Coroico: “la strada più pericolosa al mondo”
“Una media di 26 veicoli, vale a dire uno ogni due settimane, vi scompaiono ogni anno cadendo nel grande abisso, e un rapporto dell’Inter American Development Bank la bolla come la più rischiosa del pianeta. Chi ama le situazioni da cardiopalma la troverà sicuramente congeniale, ma se vi terrorizza l’idea di viaggiare su una pista sterrata, larga appena quanto basta per un solo veicolo, che si snoda su strapiombi di oltre 1000 metri, sovrastata da enormi sporgenze rocciose e con cascate che l’attraversano erodendone il manto, la soluzione per voi è sprofondare la testa in qualcosa che vi impedisca di vedere fino al termine del viaggio.”
Lonely Planet.
Mi s’illuminano gli occhi. Rileggo avido il paragrafo evidenziato in grassetto sulla famosa guida, ormai vangelo commerciale di ogni viaggiatore, e comincio pensieroso a rimuginarci sopra. Tergiverso, ne valuto i rischi, mi racconto che in definitiva non ne vale poi così tanto la pena e che comunque sia posso anche far finta di nulla e proseguire il mio cammino, ma sto mentendo. Dentro di me la decisione l’ho già presa. La sfida è iniziata.
La Paz, ore 11.00. Preparo la moto, e sotto un sole così intenso da poter spaccar le pietre ingrano la prima. L’inizio del viaggio sembra abbastanza agevole, il paesaggio è un incanto. Giungendo a la Cumbre in seguito all’attraversamento di La Paz, noto però un fenomeno piuttosto singolare; cani affamati appostati come sentinelle ai bordi della strada a ogni 100 metri, mi guardano perplessi e ambigui. Mi chiedo il perché, ma ho paura a darmi una risposta. (Solo più tardi verrò a sapere che i conducenti dei camion danno da mangiare ai cani nella speranza che gli spiriti degli antenati che dimorano sulle alte vette intercedano per loro affinché la forza di gravità li risparmi durante il percorso).
Viaggio a un’altezza media di 4000 metri sul livello del mare, e mi ritengo molto fortunato per aver scelto come giorno della partenza un giorno cosi tranquillo e soleggiato. Sono sereno.
Tutto a un tratto lo scenario cambia repentinamente. Il sole si eclissa in un battito di palpebre e nubi minacciose, accompagnate da una fitta nebbia mi avvolgono come in un manto, regalandomi una visibilità che non va oltre i pochi metri e oscurando in modo cupo il mio cammino. Rallento. Scompare improvvisamente anche l’asfalto, infedele amico al quale ormai do pure un nome visto l’incredibile soddisfazione provata sempre al nostro incontro. [r1] [s2]
Con un groppo alla gola e un’ansia crescente ora ho un’unica certezza: la sfida è appena cominciata.
Arrivo al primo posto di blocco guidando sotto una pioggia scrosciante, e lo sguardo attonito di due agenti in uniforme mi conferma ciò di cui in realtà avevo già un fortissimo sentore: sono solo.
Mi allertano sul fatto che nella notte e nel corso della mattinata ci sono state numerose frane, delle quali due hanno completamente bloccato la strada, e sulle quali ancora non è stato possibile lavorarci a causa del mal tempo. La decisione chiaramente spetta a me, mi dicono, non potendo fare altro per bloccare il mio passaggio. Anche se con la moto probabilmente sarei in grado di passare, intelligenza e buon senso consiglierebbero il contrario.
Decido di proseguire, nonostante la sicurezza ostentata al momento della partenza lascia lentamente il passo a un sentimento misto di incertezza, inquietudine e profonda apprensione.
Sono bagnato fradicio, ma la tensione che mi scorre nelle vene e la concentrazione nel cercare di evitare buche ricolme d’acqua grandi come crateri non mi fanno avvertire neppure il freddo

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