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Capitolo 12: Matte

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

Florianopolis è senza dubbio la nostra città. È la città dove ci siamo guardati per la prima volta e ci siamo riconosciuti, la città nella quale ci siamo presi per mano e nella quale ci siamo dati il primo bacio, la città nella quale dopo una settimana in cui galleggiavamo nella nostra bolla di felicità ed esaltazione progettammo per scherzo il giro del mondo in sella a una moto.

Florianolpolis, per me, è anche un insieme di ricordi, dolci e amari.

Ci arrivai appena finita la stagione lavorativa in Bahia, spinto dal bisogno estremo di scappare da tutto e da tutti, dalla necessità di riuscire a star male, toccare il fondo, di perdermi per poi darmi la possibilità di ritrovarmi.

All’epoca ero uscito da qualche mese da una relazione di quattro anni con Federica, relazione nella quale entrambi avevamo scommesso tutto ma che alla fine non aveva funzionato. Ed ero rimasto con il culo per terra, perso in una quotidianità che non mi apparteneva più a cercare di ricostruire certezze ormai compromesse.

La mia reazione istintiva, come sempre mi succede quando qualcosa di doloroso destabilizza il mio equilibrio, era stata quella di sorvolare il problema nascondendolo, eludendolo, rinchiudendolo in quella parte più ermetica di me che mi permettesse momentaneamente di tirare avanti lo stesso, con la presunzione di essere più forte. Ma inevitabilmente, quando per l’ennesima volta al risveglio le lenzuola al mio fianco erano calde di qualcuna che non era “quella giusta”, piano piano avevo incominciato a prendere consapevolezza, a sentire forte l’esigenza di guardarmi dentro, isolarmi, piangere per liberarmi da quel forte dolore al petto che mi toglieva il respiro, sentendo come unica necessità un bisogno estremo di mettere ordine.

Risoluto nel tentativo di dare un taglio netto a una fase per la quale avevo assoluto bisogno di trovare il punto, decisi di partire per Florianopolis in un paio d’ore, lasciando, finalmente egoista, amici e lavoro, facendomi trasportare dal flusso incondizionato degli eventi e del destino.

Fu solo quando arrivai a destinazione che mi resi conto di essere solo, perso, sballottolato come una piccola barchetta alla deriva tra le gigantesche onde del mio naufragio emozionale. Dopo qualche giorno finalmente piansi.

Di Savannah sentì parlare ancora prima di conoscerla nei racconti di Andrè, un ragazzo estone che si sedette al mio fianco nel ristorantino di Laura a Barra da Lagoa, una bellissima spiaggia a est della penisola. Mi raccontò del trekking che lui e tutti i ragazzi dell’ostello in cui era ospitato avevano percorso nel pomeriggio, e dell’uscita che di lì a poco avevano organizzato per andare a bere insieme nel centro di Lagoa.

Entrammo subito in confidenza, condividendo insieme le svariate birre che l’instancabile Laura prontamente provvedeva a rimpiazzarci collocando i vuoti in una fila sempre più lunga sul bancone fatto a forma di tavola da surf.

Ricordo che con fare sibillino all’improvviso Andrè, in uno slancio di confidenza morbida e dall’odore rancido di alcol, mi espose sottovoce il suo terribile piano machiavellico, consistente in sostanza nel cercare di fare ubriacare le ragazze per renderle più flessibili prima dell’assalto finale.

“Pivello”, ricordo ancora di aver pensato tra me e me, mascherando con una pacca complice sulla spalla quello che in realtà, forse un po’ presuntuosamente, pensavo realmente. D’altronde sono figlio di una madre svedese che tutt’ora chiama suo marito Gianni, discendo da quella generazione che Fellini rese nota al mondo con il nome di “vitelloni”, e vivo a Rimini da una vita. Trucchetti come questi non sono presi in considerazione neppure da coloro che sono alle prime armi nell’arte della seduzione delle prosperose turiste che affollano la riviera.

Ah, per la cronaca, mio padre si chiamava Francesco anche all’epoca.

Quando i contorni delle cose cominciarono a essere più sfocati e i freni inibitori persero di aderenza, con la promessa esplicita di non provarci con quella simpatica canadese sulla quale aveva già posato gli occhi, mi invitò ad accompagnarlo per raggiungere il resto del gruppo.



 
 
 

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