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Capitolo 20: Colombia

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

Salutarsi in viaggio è come morire un po’. È un po’ come sentirsi ingiustamente derubati di tutta quell’energia investita nel cercare di creare un rapporto che riesca in qualche modo a far breccia nella superficie della confidenza, con la consapevolezza che quell’ultimo saluto, spesso, assume involontariamente i contorni di un definitivo addio. E il giorno dopo è tutto da rifare. L’approccio è sempre graduale. Domande di circostanza, aneddoti di rito, confidenze facili, e nel migliore dei casi piccoli progetti condivisi. Il tutto ogni volta con un piccolo lutto nel cuore in più che si somma ai precedenti, lasciandoti in bocca il ricordo melanconico di un sapore agrodolce[s2] .

Non è una cosa di cui vado particolarmente fiero, ma da qualche tempo negli incontri occasionali legati a brevi spazi temporali, ho deciso consapevolmente di mentire. Non per antipatia o per superbia, tutt’altro, racconto bugie esclusivamente per riuscire in qualche modo a colorare con un po’ di entusiasmo le mie storie ormai da troppo tempo sempre uguali.

Nelle stazioni di benzina mi sbizzarrisco. Alla frequente domanda di coloro interessati alle modalità del nostro incontro poi do il meglio di me stesso. La prima volta lo faccio per gioco, improvvisando, in risposta a uno dei due signori dall’aspetto curioso che ci avvicinano mentre parcheggio la moto davanti al benzinaio. Quando mi porge la fatidica domanda gentilmente gli rispondo: “Savannah stava lavorando presso il comune della sua regione in Canada come operatrice ecologica, quando io sovrappensiero, uscito stremato da un importantissimo incontro d’affari dal portone del Palace hotel, getto per terra la carta plastica di uno snack al cioccolato. Lei mi fulmina con lo sguardo, gesticolando e scuotendo furiosamente la testa, etichettandomi come incivile e negandomi la possibilità di riparare. So di aver sbagliato, ma la reazione e l’atteggiamento ostile al quale sono soggetto li considero estremamente sproporzionati; anche io a questo punto sono forse un po’ nervoso. Rispondo risentito alle reiterate provocazioni con un gesto del quale ancora oggi mi vergogno, dando così il via a un’accesa lite che coinvolge persino i passanti, attratti come topi dal profumo del formaggio dalle urla della povera fanciulla.

Poi la guardo meglio da vicino. È bellissima.

D’un tratto le urla non le sento più, le minacce sono solo poesia, gli occhi due profondi laghi nei quali mi ci perdo.

E allora, al culmine della discussione, approfittando disinvolto di una pausa di silenzio, la invito in contropiede inaspettatamente fuori a cena.

Lei mi guarda sbigottita, incredula, poi col tono ancora consono al litigio in corso mi urla di risposta: Va bene, alle otto!

Da quel momento in poi”, continuo con enfasi, “il mio cuore batte solo per lei”, concludo accompagnato dallo sguardo affascinato dei due simpatici signori.

Con il tempo Savannah diventa infermiera di un’organizzazione no profit incontrata occasionalmente a Kabul nell’esercizio della mia professione di giornalista free lance, e poi ancora edicolante conosciuta acquistando un giornaletto porno sull’Ocean Drive di Miami, cercando di colorire sempre più le fantasiose storie che spontaneamente invento per non deludere chi, sognando, crede ancora nelle favole.



 
 
 

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