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Capitolo 23: Tanti Auguri Yellow

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

Con lo sguardo percorro lentamente una lunga crepa che dal soffitto si ramifica in tre distinte direzioni, seguendone il tracciato avanti e indietro, all’infinito, nella vana illusione di trovarne un punto di congiunzione che le dia in questo modo una forma concreta, tangibile, riconoscibile o almeno familiare. E viaggio.

Un viaggio senza ruote. Viaggio nella memoria, seguendo una pista fatta di concatenazione di piccoli e insignificanti particolari presenti oggi associati a eventi e a situazioni passate, le quali a loro volta mischiate al nuovo come DNA distintivo e inestirpabile di una cultura che troppo velocemente corre nella vana speranza di emulare quel modello di sogno americano garante di benessere e felicità, sono state rivestite con abiti di una taglia in qualche modo impropria e inadeguata.

E mi ritrovo così assorto nei miei pensieri in uno stato quasi ipnotico a ricordare il centro America.

Il centro America lo conobbi per la prima volta attraverso gli occhi di un ingenuo ragazzino diciannovenne con tanta sete di mondo, assaporandone contemporaneamente il gusto esotico e confuso delle diverse culture, con il dolce e vergine profumo dell’esperienza di libertà, indipendenza, e profonda trasgressione che solo l’entusiasmo dell’età e del primo viaggio può regalare.

Lo conobbi seduto a bordo di una vecchia Nissan Tsuru, affittata per l’occasione in un periferico quartiere di Cancun in Messico, dove io e miei inseparabili compagni di merende intraprendemmo nell’ormai lontano ’91 un viaggio senza meta e senza regole, macinando instancabilmente chilometri di esperienze distorte e racconti proibiti sotterrati dall’ormai inevitabile polvere del tempo.

Ancora oggi, ripensando da spettatore passivo a quel lungo viaggio, faccio fatica a credere alle immagini sconnesse che si sovrappongono come piccoli fotogrammi censurati nella mia mente.

La seconda volta invece lo percorsi nel 2000 a bordo di un ormai leggendario Ford Bronco ’83, fuoristrada acquistato per l’occasione a un’asta a Phoenix in Arizona e rivenduto con nostalgia e amarezza alla fine di quell’indimenticabile avventura a Panama City a un losco narcotrafficante colombiano. Anche quel viaggio possiede nella mia mente un posto privilegiato, diventando a posteriori il segnalibro inconsapevole di un’epoca di definitivo cambiamento. Solo ora, a tanti anni di distanza mi rendo conto di quanto fosse inevitabile.

Lo percorsi in compagnia di Sara, mia storica amica, amante e compagna di quell’epoca ribelle, attraversandolo in tutti i suoi angoli più remoti alla ricerca di quella serenità che nel corso degli anni avevamo incoscientemente perso lungo il nostro folle e autodistruttivo cammino. Che viaggio. Ricordo che il Nicaragua, per risparmiare sulle spese del carburante, lo attraversammo addirittura in nove a bordo del mio Bronco. Nove anime perse appartenenti a ben sette Paesi differenti, tutti uniti dal comune desiderio di conoscere e condividere insieme questo disordinato agglomerato di culture diverse e complementari.

Ora ho quarantuno anni, una nuova compagna e la mia inseparabile motocicletta. Ora non cerco nulla. Non cerco serenità, risposte e tantomeno trasgressione. Ora sento arrogantemente di possedere tutto ciò di cui ho bisogno. Vivo questo viaggio non come un’occasione per scappare da qualcosa, ma unicamente come stimolo per vivere il presente, godendo della gioia riflessa rubata agli occhi ancora stupiti di Savannah, e respirando quella sensazione di libertà da vincoli che solo un viaggio su due ruote mi sa regalare. A queste terre non chiedo altro.


 
 
 

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