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Capitolo 24: Il Culo del Mondo

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

San Pedro è ancora magica. L’atmosfera che la contraddistingue è di quelle riservate a quella ristretta cerchia di pochi eletti riusciti inconsapevolmente a superare le prove perpetuate dal tempo e dal mutamento delle cose. È ancora lì, con le stesse rughe, comodamente aggrappata alle rive di quell’immobile specchio color smeraldo come un magnete sulla porta di un frigorifero, indifferente al passare degli anni e delle mode. Ha una sua anima unica e inconfondibile, anima che si respira nelle case, nei locali, e nelle espressioni di chi la vive da sempre.

Il Bhudda bar diventa da subito il nostro rifugio preferito. Ci passiamo pomeriggi interi sdraiati comodamente sui soffici cuscini del piano superiore a leggere, parlare, e guardare ipnotizzati vecchi documentari sulla vita di Bob Marley sorseggiando lentamente the caldi al rum e birra.

La sera invece la passiamo serpeggiando tra le labirintiche viuzze del centro alla ricerca di un ristorante che offra qualcosa di alternativo al vegetariano, piatto principe e tiranno incontrastato di quest’anacronistico e affascinante paesino d’altri tempi.

Alloggiamo in un bellissimo alberghetto in riva al lago gestito da un barbuto americano non ancora risvegliatosi dai fumi di Woodstock, il quale, avendoci preso in simpatia, gentilmente ci mette a disposizione una vecchia canoa biposto con la quale attraversiamo il lago alla ricerca dello scatto perfetto. Non ci sono tanti turisti a spasso in questo periodo dell’anno, anzi, a dir la verità non penso esista un’epoca nella quale questo posto soffra di sovraffollamento.

D’altronde quei pochi viaggiatori che incrociamo per le strade non sembrano neppure turisti. Con quel passo lento e strascicato così in sintonia con il ritmo abulico di questo piccolo villaggio, pare vivano qua de sempre, magneti pure loro di questo vecchio frigorifero ricolmo di verdure, ciminiere ingorde d’erba senza meta, soldati privi d’armi della pace e dell’amore.

Nel frattempo i giorni continuano a scorrere indolenti, sonnolenti, inclementi, assenti, pazienti, e tutti i restanti aggettivi che finiscono in -ente, e quando è ora di ripartire, i bagagli sembrano più pesanti del solito, tanta è la voglia di rimanere.

Ma la prossima meta è un intrigante appuntamento al buio, e devo ammettere che il pensiero dell’ignoto ha su di me un effetto altrettanto seducente.

Il suo nome è scritto in diagonale sulla vecchia cartina dell’Argentina ancora in cima alla tasca trasparente della borsa serbatoio con la calligrafia di un giovane ragazzo olandese conosciuto su una delle isole San Blass. Lo descrisse come il paradiso in terra, l’Eden ritrovato, il luogo per il quale il suo viaggio era già abbastanza.

Ricordo che più delle parole furono i suoi occhi a decidere per me; un’espressione che conosco e so riconoscere, un’espressione inconfondibile, un’espressione che, da qualche tempo, ritrovo con gioia e stupore nuovamente nello specchio.

Percorriamo curiosi una strada alternativa a quella consigliata dal buon senso, dove ben presto l’asfalto lascia il posto a un acciottolato umido e sconnesso, riducendo notevolmente la nostra media oraria a poco più di trenta all’ora.

Vibrazioni e forti scossoni esplodono incessanti sulle ruote della povera Yellow ripercuotendosi sul telaio e propagandosi con violenza sulle nostre spine dorsali e stati d’animo.



 
 
 

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