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Capitolo 25: La Voce di Yellow

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

Yellow è indubbiamente donna. Come tale la vedo affascinante, seducente, fedele e volitiva. Femmina direi senza alcun timore di poter esagerare. Ciò di cui non è in possesso Yellow invece, al contrario di coloro appartenenti a questa bellissima categoria i cui aggettivi di solito finiscono con la A, è la capacità di abusare troppo e a sproposito dell’arte del parlare.

Yellow parla poco. Quando lo fa di solito è perché ha qualcosa da dire, e quando succede ho paura, perché in fondo so già che ciò che mi dirà, sarà qualcosa che poi non gradirò.

Siamo nuovamente in viaggio, rinfrancati nello spirito e nell’anima dal riposo e dal profondo senso di appagamento derivante dalla consapevolezza di aver vissuto qualcosa di straordinario. Seguiamo una rotta tracciata a penna sul retro di una ricevuta trovata stropicciata sul fondo della tasca del giubbotto accanto ai guanti, copiata grossolanamente dalla cartina poco dettagliata offerta da google maps per percorrere la distanza intercorsa tra noi e la città di Palenque, primo agglomerato urbano messicano al quale decidiamo di puntare.

Non è distante, anzi, a guardare il tracciato virtuale sullo schermo la lunghezza del percorso non raggiunge neppure le due dita. Se penso che in passato spesso e volentieri le dita allineate sono state più di quattro il tragitto di oggi non sembra essere poi tanto impegnativo.

Eppure qualcosa mi dice che oggi non sarà una passeggiata.

Google maps ha la sgradevole abitudine di segnalare il tragitto più breve intercorso fra le due località messe in evidenza, omettendo incoscientemente fattori quali lo stato delle strade, la pericolosità della regione, e la conformazione paesaggistica del territorio preso sotto esame. E io spesso, ingolosito dalla brevità del primo risultato, faccio finta di fidarmi ciecamente di questa soluzione, rinunciando pigramente ad analizzare percorsi alternativi o rotte più affidabili.

Lo so, sono cosciente di essere forse un po’ approssimativo. Ho conosciuto centauri che scapperebbero inorriditi al solo pensiero di non avere in precedenza reperito con esatta precisione informazioni dettagliate su chilometraggi, tragitti, stazioni di benzina e meccanici presenti lungo il percorso da affrontare. Ma che volete, sono un entusiasta non un professionista. Il mio animo è decisamente più propenso al viaggiatore fatalista che al meticoloso viaggiatore motociclista, e come tale l’idea dell’ignoto, come già affermato in precedenza, ha su di me un effetto decisamente devastante. E sono pigro, lo devo ammettere, e forse un po’ incosciente.

Sono comunque qua, nuovamente in sella alla mia moto, proteso in avanti, pronto per varcare quella terra che a suo tempo dolcemente e con un pizzico di malizia rubò con disinvoltura la verginità del mio primo passaporto. “Vado in Messico”, come direbbe il buon vecchio Vasco andando al massimo.

All’improvviso però, l’apparente quiete nella quale ho la calda sensazione di potermi sciogliere, è fatalmente rotta da un rumore proveniente dalla ruota posteriore. È un rumore sordo, ciclico, ripetitivo, un rumore che assomiglia vagamente al rumore fastidioso delle ruote delle biciclette quando non più in asse a ogni giro sfregano incessantemente la parte più sporgente del cerchione contro il gommino usurato della pinza freno.

Subito penso al peggio.


 
 
 

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