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Capitolo 34: La Grappa ti Salva la Vita

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

L’avventura di Valdez è in assoluto il picco di freddo più acuto sofferto durante l’intero viaggio. I chilometri da percorrere in realtà non sono tantissimi, anzi. Da dove ci troviamo ora alla meta finale non sono più di cinquecentocinquanta, ma vi assicuro che per il freddo sofferto nel tragitto, e i sacrifici compiuti con l’aspettativa di vedere il grizzly, quando arriveremo al nostro destino finale saranno decisamente troppi.

È la pioggia il nemico numero uno da combattere, una pioggia perfida e incessante. Anche il traffico da fastidio. Un grosso camion visibile esclusivamente da lontano nei lunghi rettilinei, sta bloccando con la sua enorme stazza tutto il traffico al suo seguito, e anche noi non potendo superare per causa delle dimensioni ridotte della carreggiata, ci troviamo imbottigliati in un’andatura forzatamente troppo lenta.

Cercando di non pensare al freddo e all’acqua gelida nella quale galleggiano spaesati i miei testicoli, focalizzo l’attenzione sulla targa del piccolo camper davanti a noi dall’aria familiare. “Italia cazzo, quella è una targa italiana” mi urlo dentro al casco.

Al primo rettilineo li affianco suonando come un forsennato per attirare l’attenzione di questi due signori dall’aria rilassata seduti dietro al finestrino. All’inizio non capiscono, anzi, dall’espressione sembrano alquanto intimoriti, ma appena mi sentono parlare in italiano si illuminano e mi gridano in coro preoccupati: “Porco Giuda, dove vai sotto questa pioggia” in un accento talmente marcato da darmi quasi l’impressione di essere sulle Alpi invece che in Alaska.

Li saluto e torno in coda, non è certamente né il luogo né il momento più propizio per fare conversazione.

Poi non ne posso decisamente più. La pioggia sembra non volerci dare tregua, e il freddo ora è diventato quasi insostenibile. Così, a cento chilometri dal destino finale, attratto dall’insegna di un motel intravista accanto a un incrocio dal quale si snoda una stradina diretta a un agglomerato di casettine in legno, metto la freccia e provo a informarmi sul prezzo.

Il motel dall’esterno sembra chiuso. Al lato della porta c’è una piccola campana appesa al ramo di quella che nelle intenzioni penso abbia la pretesa di essere una specie di scultura. Nel dubbio la suono.

Nessuna risposta.

Proprio mentre stiamo per desistere, spunta fuori dal terrazzo del piano superiore la figura di un signore dall’aria assonnata.

Nel vederci la sua reazione è quasi indisponente; all’inizio ci osserva con trasparente pena e compassione, ma poi si mette inaspettatamente a ridere. “Piove eh?!” dice scendendo le scale esterne passando dalla veranda.

“Mi scusi, non ha mica una stanza per la notte”, gli rispondo in contropiede con fare scherzoso preparandomi il terreno per la cazzata che gli sto per dire: “Va bene anche quella senza aria condizionata”.

Il tipo esplode in una risata sguaiata forse troppo esagerata comparata allo spessore della mia battuta, sta di fatto che ci prende in simpatia, e senza neanche dover insistere più di tanto, ci lancia le chiavi di una cameretta al piano terra affittandocela per soli cinquanta dollari.


 
 
 

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