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Capitolo 43: L'abito da Sposa

Writer: Savannah ZamagniSavannah Zamagni

È già buio quando usciamo dall’aeroporto di Penang. Carichiamo gli zaini in cima al rickshaw a pedali stazionato davanti all’uscita dei voli internazionali, e gentilmente chiediamo al conducente sul sellino di pedalare per raggiungere Chulia street, famosa via tra i backpackers per essere meta di coloro che vogliono prolungare il visto tailandese.

Qua è di nuovo tutto orientato alla soddisfazione dei bisogni del turista. I menù dei mille ristoranti scritti a gesso sulle bacheche sono immancabilmente provvisti di happy hour, e le tavolate sotto le verande degli svariati pub a cui passiamo affianco parlano tutte la lingua di Savannah.

L’ostello lo troviamo per caso, scovandolo in fondo a una traversa della via principale, seguendo la scia di una grossa insegna luminosa lampeggiare a intermittenza sulle vetrate lucide di un palazzo in lontananza. È pulito ed estremamente grazioso, e nonostante nei cinque giorni della nostra permanenza abbiamo l’obbligo di cambiare stanza per tre volte, decidiamo ugualmente fare al caso nostro.

Ora le nostre facili preoccupazioni sono ben altre. Come tutti coloro che passano di qua, abbiamo l’obbligo di richiedere il visto per la Thailandia ed espletare qualche giro burocratico per sdoganare Yellow, il restante dei nostri pensieri è tutto rivolto all’incombenza del futuro matrimonio.

Dal piccolo computer collegato al wi-fi dell’ostello, quando già le insegne dei locali sono spente e i rumori sono solo acuti miagolii provenienti da lontano, mi collego a Facebook per chattare con Tommy, un amico riminese già da qualche anno residente stabile di Phuket in Thailandia.

Tommy, come del resto quasi tutti gli amici che frequento, ha una bella dose di pazzia nella quale poter intingere il pennello e disegnare in questo modo il suo destino.

Il numero che più mi piace raccontare, e al quale spesso mi affido nel rassicurare chi ha paura di viaggiare in solitaria, lo fece proprio quando decise di mollare tutto e venire a vivere in Thailandia.

Era fine estate a Rimini. All’epoca Tommy era proprietario di un piccolo barettino affacciato al lungomare.

Quel giorno, facilitato da tutti i contatti raccolti nei vent’anni di lavoro in locali e discoteche della riviera romagnola, aveva spedito centinaia di inviti ad amici e conoscenti per festeggiare il compleanno nel suo bar, allestito per l’occasione con dovizia di particolari per accogliere degnamente in grande evento.

Anch’io ero arrivato sul tardi.

La cosa più singolare ricordo, era che di Tommy, il festeggiato, non c’era alcuna traccia. Nessuno in realtà si preoccupava più di tanto.

Tutti lo conoscevamo, e chi più o chi meno sapeva che in quel momento Tommy probabilmente si stava divertendo invischiato in qualche strana situazione. Sicuramente da un momento all’altro sarebbe comparso con quell’inconfondibile risata tipica di quando è “su di giri”, e in qualche maniera ci avrebbe sorpreso un’altra volta con qualche sua trovata.

Ma quel giorno la trovata fu per me, che adoro questo tipo di follie, veramente eccezionale.

In un attimo di silenzio, il portatile appoggiato al bancone e visibile a tutti si illuminò all’improvviso mostrando il suo faccione abbronzato e ubriaco urlare al mondo: “Auguriiii, fanculo a tuttiiii, sono in Thailandia, non torno piuuuuuuuuu”.




 
 
 

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